IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  iscritta  al  n.
 2620/1994  volontaria giurisdizione, promossa da Biagini Serena (avv.
 Natale Giallongo, dott.ssa Maria Cecilia Mannocci  e  dott.  Vincenzo
 Farnararo)  nei  confronti  del'Ordine  degli psicologi della regione
 Toscana  (avv.  Alberto  Azzena  e  Paolo   Carrozza,   elettivamente
 domiciliato  presso il dott. proc. Francesco Brizzi) con l'intervento
 dell'Associazione unitaria psicologi italiani - A.U.P.I. (avv. Natale
 Giallongo, dott. proc. Maria Cecilia Mannocci e dott. proc.  Vincenzo
 Farnararo)  avente ad oggetto: impugnazione di delibera del consiglio
 dell'Ordine.
    1. - Il presente procedimento e' stato promosso da Serena  Biagini
 ai  sensi  dell'art. 17, legge l8 febbraio 1989, n. 56, essendo stata
 impugnata la deliberazione del consiglio dell'Ordine degli  psicologi
 della  Toscana  10  marzo  1994 con la quale si rifiutava il consenso
 all'esercizio  della  stessa all'attivita' psicoterapeutica, ai sensi
 dell'art. 35 legge cit., non essendo la  stessa  laureata  da  almeno
 cinque anni dall'entrata in vigore della legge.
    Fissata  l'udienza  di  comparizione  delle  parti  in  camera  di
 consiglio  e  notificato  il  ricorso  e  il  decreto  al   consiglio
 dell'Ordine  e  al p.m., si costituiva l'Ordine degli psicologi della
 regione Toscana, chiedendo il rigetto del ricorso.
    Interveniva, altresi' l'Associazione unitaria psicologi  italiana,
 quale  associazione sindacale maggiormente rappresentativa a sostegno
 della domanda della ricorrente.
    Discussa la causa  in  camera  di  consiglio  all'udienza  del  26
 settembre  1994,  il  tribunale  si riservava sulle conclusioni delle
 parti riportate nei rispettivi atti.
    2. - La norma di legge applicata dal consiglio  dell'Ordine,  come
 si e' detto, e' l'art. 35 legge 56 cit. che recita:
      "1.  In  deroga  a  quanto  previsto  dall'art.  3,  l'esercizio
 dell'attivita' psicoterapeutica e' consentito  a  coloro  i  quali  o
 iscritti  all'ordine degli psicologi o medici iscritti all'ordine dei
 medici  e  degli  odontoiatri,  laureati  da  almeno   cinque   anni,
 dichiarino,  sotto  la propria responsabilita', di aver acquisita una
 specifica formazione professionale in psicoterapia, documentandone il
 curriculum formativo con l'indicazione delle sedi, dei tempi e  della
 durata,   nonche'   il   curriculum   scientifico   e  professionale,
 documentando la preminenza  e  la  continuita'  dell'esercizio  della
 professione psicoterapeutica.
      2.  E'  compito  degli  ordini  stabilire  la validita' di detta
 certificazione.
      3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sono  applicabili  fino
 al  compimento  del  quinto  anno  successivo alla data di entrata in
 vigore (10 marzo 1989) della presente legge".
    3. - Dalla documentazione prodotta e dalle comparse depositate  e'
 risultato   evidente   che   l'unico  motivo  per  cui  il  consiglio
 dell'Ordine degli psicologi della Toscana  ha  rigettato  la  domanda
 della   d.ssa   Biagini   diretta   ad   acquisire   l'autorizzazione
 all'esercizio  dell'attivita'  psicoterapeutica   e'   quello   della
 mancanza  del  requisito  dell'essere  la  stessa  laureata da almeno
 cinque anni: il Consiglio, infatti, non e' entrato nel  merito  della
 validita'    della   certificazione   prodotta   dalla   richiedente,
 considerandola evidentemente piu' che sufficiente.
    Il rigetto della domanda e' conseguenza  dell'essersi  la  Biagini
 laureata  il  16  marzo 1989, con la conseguenza che al 10 marzo 1994
 (ultimo giorno utile per l'applicazione della  normativa  transitoria
 dell'art. 35, per quanto disposto dal terzo comma) non aveva maturato
 il requisito dei cinque anni dalla laurea.
    4.  -  Preliminarmente il tribunale ha affrontato due questioni di
 carattere interpretativo.
    In primo luogo  non  e'  stata  ritenuta  accoglibile  la  tesi  -
 sostenuta  dall'Associazione unitaria psicologi italiani - secondo la
 quale l'inciso "laureati da almeno cinque anni" si  riferirebbe  solo
 alla  categoria  dei  "medici  iscritti all'ordine dei medici e degli
 odontoiatri" e non anche  alla  categoria  degli  "iscritti  all'albo
 degli psicologi".
    Secondo  il  tribunale,  infatti,  vi  e'  un  ostacolo  di ordine
 sintattico,  costituito  dalla   virgola   che   separa   la   parola
 "odontoiatri"  dalla  parola  "laureati":  se  tale virgola non fosse
 stata apposta dal  legislatore  sarebbero  emerse  con  chiarezza  le
 seguenti  due  categorie  di  aspiranti: a) iscritti all'ordine degli
 psicologi;  b)  medici  iscritti  all'ordine  dei  medici   e   degli
 odontoiatri  laureati da almeno cinque anni. Al contrario l'esistenza
 della virgola sembra mostrare che il requisito della laurea da almeno
 cinque anni non sia relativo soltanto alla  categoria  immediatamente
 precedente, ma a entrambe le categorie.
    Inoltre   l'esame   della   regolamentazione  definitiva  relativa
 all'esercizio dell'attivita' psicoterapeutica,  dettata  dall'art.  3
 legge n. 56, dimostra che il trattamento riservato alle due categorie
 e'  identico: sia per i laureati in psicologia, che per i laureati in
 medicina, infatti, sara'  necessario  un  corso  di  specializzazione
 post-universitario della durata di almeno quattro anni.
    Anche  la  normativa transitoria degli artt. 32 e 33, legge n. 56,
 offre  spunti  per  la  soluzione  contraria   a   quella   sostenuta
 dall'A.U.P.I.: delle otto categorie individuate dai suddetti articoli
 aventi  diritto o all'iscrizione immediata all'albo degli psicologi o
 all'iscrizione mediante la sessione speciale dell'esame di stato  (di
 fatto  situazioni  equivalenti)  ben  sette  individuano  soggetti in
 possesso di diploma di laurea.
    5. - Il secondo  problema  di  carattere  interpretativo  riguarda
 l'interpretazione del termine di cinque anni.
    La ricorrente suggerisce un'esegesi meno rigida di quella recepita
 dall'Ordine, per due ordini di motivi:
       a)  il  legislatore  non  ha  richiesto  alcun limite temporale
 inderogabile per l'accesso in regime transitorio  alla  psicoterapia:
 se  cosi'  fosse  stato  avrebbe allora indicato la data di inizio di
 decorrenza di detto periodo;
       b) la valutazione meno rigida - che tenga cioe' conto dell'anno
 accademico in cui il soggetto si e' laureato,  o  quanto  meno  della
 sessione  di laurea o della data del suo inizio, invece he della data
 esatta della discussione della tesi di laurea  -  e'  consentita  dal
 fatto  che  tale  elemento,  insieme  alla  autodichiarazione  e alla
 certificazione prodotta, deve consentire  un  giudizio  discrezionale
 complessivo,  globale,  che porti al convincimento del raggiungimento
 nel  soggetto  di  una  sufficiente   formazione   professionale   in
 psicoterapia.
    Si deve, pero', osservare:
       a)  in  realta'  il  legislatore,  mediante la disposizione del
 terzo comma, che limita l'applicazione della normativa transitoria ai
 cinque  anni  successivi  alla  data  di  entrata  in  vigore   della
 normativa,   ha  sostanzialmente  stabilito  un  termine  preciso:  i
 requisiti devono maturare nel periodo 10 marzo 1989-10 marzo 1994  e,
 piu'  in  particolare,  il  soggetto deve essere laureato entro il 10
 marzo 1989;
       b) la  normativa  di  cui  all'art.  35  e'  norma  eccezionale
 rispetto  alla  regola generale posta dall'art. 3 legge n. 56, cui fa
 espressa deroga: ne consegue che l'interpretazione analogica non puo'
 essere  permessa  e  l'orientamento   deve   essere   tendenzialmente
 restrittivo;
       c)  il  requisito  della  laurea  da  oltre  cinque  anni e' un
 requisito diverso e ulteriore rispetto a quello del raggiungimento di
 una sufficiente formazione professionale che e' dimostrato (e su  cui
 il  Consiglio  dell'Ordine  deve  esprimere la sua valutazione) dalla
 autodichiarazione e dalla documentazione prodotta e non dal  possesso
 da un certo periodo del diploma di laurea.
    In definitiva, secondo il tribunale, l'applicazione del termine di
 cinque anni dalla laurea non puo' che essere letterale e puntuale: il
 soggetto  richiedente  deve essere laureato entro il giorno dell'anno
 di cinque anni prima rispetto alla data della delibera del  consiglio
 dell'Ordine: se il consiglio dell'Ordine, come nel caso di specie, ha
 deliberato  il  10  marzo  1994 il soggetto richiedente doveva essere
 laureato entro il 10 marzo 1989.
   6. - Si deve, a questo punto, far emergere la ratio  dell'art.  35,
 che, si ricordi, e' norma transitoria.
    Prima  dell'emanazione  della  legge  n. 56/1989 l'esercizio della
 psicoterapia era permesso a chiunque, o  meglio  non  era  vietato  a
 nessuno;  il  legislatore  ha voluto porre, da ora in poi, dei limiti
 ben precisi, in modo che la psicoterapia  fosse  esercitata  solo  da
 soggetti abilitati.
    L'art.   35,  pertanto,  costituisce  un  tentativo  di  passaggio
 "morbido"  da  una  situazione  per  nulla   regolamentata   ad   una
 rigidamente regolamentata, mediante l'individuazione di soggetti che,
 per  la  professionalita'  raggiunta  fino al momento dell'entrata in
 vigore della  nuova  normativa,  si  ritiene  non  necessitino  della
 frequenza  del  corso  quadriennale  di formazione post-universitario
 previsto dall'art. 3.
    7. - Di fronte ad un  caso-limite  come  quello  della  ricorrente
 Biagini  la  quale,  per  sei giorni, non puo' rientrare nel disposto
 dell'art.   35   nonostante   la   esperienza   maturata   in   campo
 psicoterapeutico,  questo  Tribunale  si  e'  posto,  di  ufficio, il
 problema relativo alla sindacabilita' o  meno,  dal  punto  di  vista
 costituzionale,  dei criteri seguiti dal legislatore nel disegnare la
 normativa transitoria.
    Si deve  sottolineare  che  il  legislatore  intende  discriminare
 all'interno  di  una  categoria  di soggetti che gia' esercitavano la
 professione psicoterapeutica, come si evince con certezza dal curric-
 ulum scientifico e  professionale  che  deve  essere  prodotto  nella
 domanda:  dettando  i  criteri  limitativi  dell'art.  35 (diploma di
 laurea; possesso dello stesso da almeno cinque anni; possesso di  una
 specifica  formazione  professionale in psicoterapia; esercizio della
 psicoterapia con modalita' continua  e  preminente)  il  legislatore,
 quindi,  prevede  che  alcuni  di  tali  soggetti  non  possano  piu'
 esercitare la psicoterapia.
    Tale eventualita' deve essere osservata sotto due visuali:
       a) per il richiedente che si vede respinta la domanda si tratta
 della negazione di un diritto fino  a  quel  momento  esercitato;  e'
 intuitivo  che  l'esercizio  di  tale  diritto abbia, fra l'altro, un
 rilevante risvolto economico.
    In tale visuale emerge la necessita' di rispetto dell'art. 3 della
 Costituzione, in modo che tale limitazione -  sicuramente  necessaria
 nella  logica della legge n. 56/1989 - sia applicata soltanto in casi
 nei quali la stessa e' necessitata e non venga applicata  in  maniera
 diversa rispetto a soggetti in posizione analoga.
    Emerge,  inoltre,  ancora  con  maggior  forza  la  necessita' del
 richiamo all'art. 35 della Costituzione, trattandosi di soggetti  che
 esercitavano  un  lavoro  legittimamente  e  che  si vedono negata la
 possibilita' di continuare in tale esercizio;
       b) per il/i paziente/i del soggetto richiedente al quale  viene
 respinta  la domanda (che, si ripete, esistono sicuramente, in quanto
 presupposto per la presentazione della domanda e'  l'esercizio  della
 professione  psicoterapeutica)  si  tratta  dell'interruzione  di una
 terapia in corso. E' notorio che, proprio per il tipo di terapia,  la
 sostituzione  di  uno  psicoterapeuta  con  un  altro  risulti  assai
 difficile in molti casi, in quanto  la  figura  del  curante  assume,
 rispetto  a  certe patologie, un'importanza assai maggiore rispetto a
 quella che puo' assumere  il  medico  curante  in  una  patologia  di
 carattere esclusivamente fisico.
    In  questa seconda visuale, il rispetto dell'art. 32, primo comma,
 della Costituzione, che tutela anche la salute psichica,  impone  che
 l'interruzione  forzata  della terapia sia limitata ai casi in cui il
 curante dia cosi' scarse garanzie di  preparazione  professionale  da
 risultare  preferibile, anche rispetto alla salute dei suoi pazienti,
 che la terapia si interrompa e che il  malato  si  rivolga  ad  altro
 psicoterapeuta.
    Nella    presente    controversia,    peraltro,   il   vaglio   di
 costituzionalita' puo' essere proposto soltanto rispetto ad  un  solo
 requisito  dettato dall'art. 35 legge 56/1989, vale a dire quello del
 possesso da oltre cinque anni del diploma di  laurea.  Infatti,  come
 gia'  evidenziato,  la  Biagini  e'  in  possesso  di tutti gli altri
 requisiti: e' laureata, ha effettuato la prevista autodichiarazione e
 il Consiglio dell'Ordine niente ha eccepito in ordine al possesso  da
 parte  della  stessa  di  una  specifica  formazione professionale in
 psicoterapia, ne' in ordine all'esercizio continuo e preminente della
 professione psicoterapeutica.
    8. - Il tribunale ritiene che la  motivazione  che  ha  spinto  il
 legislatore a dettare il requisito del possesso del diploma di laurea
 da  oltre  cinque  anni  sia  quella  di  porre  una  presunzione  di
 sufficiente maturazione  professionale:  il  soggetto  solo  dopo  la
 laurea   potrebbe   dedicarsi  all'esercizio  della  psicoterapia  e,
 pertanto, potrebbe  acquisire  una  determinata  formazione  mediante
 corsi  e  mediante  l'esercizio di psicoterapia; il termine di cinque
 anni, evidentemente, e' stato ritenuto congruo  per  raggiungere  una
 ragionevole convinzione in ordine al raggiungimento di un determinato
 standard,  sia  dal  punto  di  vista  professionale,  che  da quello
 "esperienziale".  Verosimilmente il legislatore ha, altresi',  tenuto
 conto che, nel regime ordinario dettato dall'art. 3 legge n. 56/1989,
 i laureati potranno esercitare la psicoterapia solo dopo circa cinque
 anni dalla laurea (dovendo seguire corsi almeno quadriennali).
    Ebbene,   se   questa   e'  la  ratio  della  norma,  essa  appare
 insoddisfacente.
    In primo luogo essa non tiene presente che, prima dell'entrata  in
 vigore  della  legge  n.  56/1989, l'esercizio della psicoterapia era
 possibile anche ai non laureati: la data di laurea,  quindi,  non  e'
 affatto   indice  del  presumibile  inizio  dell'approfondimento  del
 soggetto rispetto all'attivita' psicoterapeutica.
    In secondo luogo, e specialmente, l'art. 35 demanda  al  consiglio
 dell'Ordine  una  piena  valutazione  in  ordine al raggiungimento da
 parte del richiedente della  specifica  formazione  professionale  in
 psicoterapia,   mediante   l'analisi   del  curriculum  prodotto  dal
 soggetto,  e  la valutazione degli studi compiuti dallo stesso, della
 continuita'  e  della  preminenza  dell'esercizio  della  professione
 psicoterapeutica.
    La  presunzione insita nell'art. 35, pertanto, viene a sovrapporsi
 al giudizio di merito che il consiglio  dell'Ordine  deve  esprimere,
 obbligando  il  consiglio  stesso  a  respingere  le domande anche in
 presenza di una convinzione piena in  ordine  al  raggiungimento  dei
 requisiti piu' volte citati.
    E'  il  caso che appunto viene in esame nel presente giudizio, pur
 con la caratteristica del caso-limite.
    Sembra al tribunale, invece, che il consiglio dell'Ordine, per una
 valutazione congrua della  posizione  di  ogni  soggetto,  possa  si'
 tenere conto del possesso della laurea da un certo periodo, a che sia
 irragionevole - e in determinati casi, iniquo - che la valutazione di
 tale parametro sia rigidamente predeterminato dalla legge e non possa
 essere  liberamente  e  consapevolmente  valutato insieme a tutti gli
 altri parametri.
    9.  -  Rispetto  ai  parametri  costituzionali  sopra  richiamati,
 pertanto,  la  norma  in oggetto rende possibili (e, nel caso oggetto
 della presente  controversia,  provoca)  serie  violazioni:  soggetti
 aventi  la  stessa  preparazione  professionale  in  psicoterapia che
 ricevono un trattamento ingiustificatamente  differenziato;  soggetti
 con   adeguata   formazione  professionale  che  vengono  impediti  a
 proseguire l'esercizio di una professione legittimamente  intrapresa;
 pazienti  che  vengono  ingiustificatamente costretti ad interrompere
 una psicoterapia in corso o, quanto meno,  a  sostituire  al  proprio
 psicoterapeuta un altro.
    Tali  violazioni  appaiono  evitabili mediante la soppressione del
 requisito in oggetto e  l'affidamento  al  giudizio  complessivo  del
 consiglio  dell'Ordine  (a  sua  volta, si deve ricordare, pienamente
 valutabile dal giudice ordinario davanti al  quale  la  deliberazione
 venga  impugnata)  della  decisione  in  ordine  alla sussistenza dei
 presupposti   necessari   per   la    continuazione    dell'esercizio
 dell'attivita' psicoterapeutica.